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La situazione della comunità islamica italiana è davvero così tragica?

Vi riporto una chiacchierata che ho avuto con un amico che stimo molto, ma che è molto pessimista e sfiduciato sulle possibilità di una comunità islamica italiana capace di farsi rispettare dagli altri.

Lui diceva, usando una metafora bellica: “Per andare in guerra ci vuole un esercito, e l’esercito deve avere una linea di comando. A briglia sciolta (come notoriamente ci muoviamo) non si può ingaggiare alcuna guerra. Agire qui in Italia, costituendosi ad esempio come parte civile in qualche processo per vilipendio alla religione, è tendenzialmente una cosa comunque fuori dalla nostra portata. Perché non abbiamo un’organizzazione vera e forte. L’organizzazione (formalizzata) è il primo passo per quasi tutto.”

La mia risposta: “Per rimanere sulla metafora della guerra…Quando non puoi fare guerra con un esercito, come minimo fai guerriglia, mentre lavori alla costruzione di qualcosa di più organizzato.”

Lui: “La linea di comando è imprescindibile. Che Guevara faceva a pezzettini i cani sciolti”

Io: “Certo. Il cane sciolto come “individuo” o “gruppetto” che con poca saggezza (o per ego) procede contro una ipotetica strategia comunitaria è pericoloso.

Ma diverse organizzazioni, con obiettivi specifici, che remano nella stessa direzione, sono il punto di partenza, in attesa di una migliore organizzazione.

Quando arrivò Salah Eddine Al-Ayoubi (e Nureddine Zanki prima di lui), lavorarono con “piccole organizzazioni” pre-esistenti, che unificò per un unico obiettivo.

Non hanno costruito tutto da zero.

Di solito “il leader-eroe” arriva alla fine e mette a sistema ciò che di buono funziona.

Difficilmente in una sola vita riesce a creare da zero tutto e portare a termine “la Missione”.

All’inizio c’è sempre una fase di sforzi non coordinati (che si danno contro). Solo poi arriva l’unione su obiettivi comuni.”

Poi ci sono state altre chiacchiere immezzo, poco utili all’obiettivo del post.

Poi ho aggiunto:

“Il giochino sta nell’avere fede che un giorno quegli sforzi, quelle realtà che si stanno costruendo, verranno messe a sistema. Ma bisogna avere fede e continuare a costruire cose utili.

Perchè sperare di partire quando tutto è perfettamente organizzato, significa sprecare tempo e non essere realisti.”

Ho deciso di parlartene perché una delle cause che portano delle persone in gamba a non mettersi in gioco è la sfiducia.

E nella situazione in cui siamo noi possiamo permetterci il pessimismo.

Approfitto di questo argomento anche per chiarire una cosa del progetto Strong Believer.

Non dobbiamo fare gli invasati là fuori.

Non siamo gli unici in Italia che lavorano alla rinascita della Umma.

Per la natura del lavoro che facciamo, lo dichiariamo esplicitamente.

Ma ci sono altri player, che operano in settori diversi, che lavorano alla stessa missione comune.

Noi abbiamo deciso di focalizzarci sul forgiare credenti di qualità, quindi strategicamente investiamo sulle risorse umane, sulla formazione.

Vogliamo dare ad ognuno gli strumenti per poter dare il proprio contributo alla Umma a partire dalla professionalità e dall’imprenditorialità.

Questo è quello di cui ci occupiamo e di cui siamo campioni.

Ma per quanto importante, non è l’unico settore su cui bisogna lavorare.

C’è da lavorare sulla rappresentanza, sul recuperare gli sbandati e riportarti sulla retta via, sulle moschee, sul maschilismo ecc…

Ci sono alcune esigenze che oggi vengono soddisfatte, altre che devono ancora trovare un protagonista che alzi la mano e dica “me ne occupo io”.

Ecco, la nostra speranza è di sfornare protagonisti competenti e formati, che dicano “me ne occupo io”, capaci di dare il proprio contributo per riportare la Umma agli splendori.

E come diciamo sempre…MAKE UMMA GREAT AGAIN.

Abed Elbakki

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