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Cosa posso fare
per la questione palestinese?

Di Abed Elbakki Rtaib

Periodicamente la questione palestinese torna a bussare alla porta delle coscienze umane in generale e alla porta del senso del dovere dei musulmani in particolare.

Sto scrivendo questo post a Giugno del 2021, circa un mese dopo gli avvenimenti di Sheikh Jarrah, ma finché la questione palestinese non verrà risolta con giustizia, sarà un contenuto sempre valido.

Per l’ennesima volta abbiamo assistito a qualcosa di veramente grave.

Dopo settimane di violenta aggressione israeliana a Gerusalemme e l’oltraggio alla Moschea di Al Aqsa proprio negli ultimi giorni di Ramadan, Israele ha iniziato a bombardare Gaza mietendo numerose vittime civili.

Guardando i video online e i telegiornali, tra i musulmani il sentimento più diffuso è la frustrazione e la sensazione di impotenza.

“Cosa posso fare? Come posso contribuire a fermare questa oppressione?” sono le domande che i musulmani (e coloro che hanno coscienza) si pongono.

Le reazioni a questa domanda sono diverse.

C’è chi non fa niente, perché pensa che sia tutto inutile.

E c’è chi condivide per giorni notizie su notizie, partecipa alle manifestazioni e supporta le varie iniziative di aiuto umanitario, ma con una triste e avvilente consapevolezza di sottofondo, ovvero che non si sta risolvendo effettivamente niente.

Chi ha ragione? Chi non fa niente o chi fa qualcosa, seppur simbolico?

E come possiamo diventare più efficaci nel sostenere la causa palestinese (e le cause della Umma)?

E’ a queste domande che risponderemo in sha’a Allah in questo post.

Non sarà un post come altri.

In questo articolo vedremo anche:

  • la lezione fondamentale che possiamo imparare dagli ebrei per dare forza alla causa palestinese;
  • cosa puoi fare nell’immediato e sul lungo termine per la causa palestinese;
  • perché “fare del bene” potrebbe essere un concetto che sta distraendo i musulmani dal vincere le proprie cause (non è come sembra, abbi pazienza di leggere l’articolo).

Pronti?

Partiamo dal primo punto.

Ha senso continuare a condividere post, video sui social, sensibilizzare e partecipare alle manifestazioni? Porterà da qualche parte questo approccio?

Per rispondere a un quesito del genere ci viene in soccorso un famoso hadith (=detto) del profeta Muhammad (s) che ci mostra la metodologia da seguire in questi casi.

من رأى منكم منكرا فليغيره بيده، فإن لم يستطع فبلسانه، فإن لم يستطع فبقلبه، وذلك أضعف الإيمان

Il Messaggero di Dio (s) ci insegna in questo famoso detto che chi di noi vede un “munkar” – ovvero qualcosa di riprovevole, di ingiusto – ha l’obbligo di intervenire praticamente (letteralmente “con la mano”, bi-yadih, come recita il hadith).

Se non è possibile intervenire praticamente, abbiamo l’obbligo di intervenire con la parola (letteralmente “con la lingua”, bi-lisanih).

E se non è possibile intervenire con la parola, abbiamo l’obbligo di dissociarcene con la nostra coscienza (letteralmente “con il cuore”, bi-qalbih) e ciò è il minimo per potersi considerare fedeli.

Quindi la metodologia offertaci dal Profeta (s) è fare tutto ciò che è in nostro potere.

Se possiamo agire, dobbiamo farlo. Se possiamo denunciare, dobbiamo farlo.

Se non possiamo fare niente, dobbiamo dissociarci dal “munkar” nel nostro cuore, per tenere viva la nostra coscienza.

Si, perché in tempi duri in cui le possibilità sono limitate, è comunque importante tenere sveglia la coscienza, perché solo a partire da quella ci potrà essere un miglioramento.

Il Messaggio islamico è un messaggio pieno di speranza, che forgia credenti resilienti, qualsiasi sia la condizione in cui vivono.

Il Profeta Muhammad (s) disse: “Se arriva il giorno del giudizio e vi trovate con un seme in mano, piantatelo”.

Quindi ha ragione chi continua ad agire, seppur solo denunciando sui social, o chi non fa niente?

Ovviamente chi continua ad agire, anche solo simbolicamente, perché è più coerente con la filosofia islamica della speranza e del “tenere sveglia la coscienza”.

Chiarito questo punto, è ovvio che questi sono ragionamenti per il breve periodo.

 

Nel senso: arriva una sfida => mi trova debole => quindi reagisco come posso.

Ma se la sfida si prolunga nel tempo, come la questione palestinese e molte questioni della Umma, come ci si deve comportare? Si può continuare a limitarsi a “denunciare”?

Ovviamente no. La denuncia è un punto di partenza, non di arrivo.

La denuncia e la sensibilizzazione di chi ci sta attorno servono a preparare il terreno per un’azione più efficace.

Ma preparare il terreno senza azione, non porta da nessuna parte.

Che azione possiamo fare?

Ci sono due livelli:

  • il livello comunitario;
  • il livello individuale.

E come sempre, il livello comunitario dipende dal livello individuale, perché la Umma è formata da credenti.

إِنَّ اللّهَ لاَ يُغَيِّرُ مَا بِقَوْمٍ حَتَّى يُغَيِّرُواْ مَا بِأَنْفُسِهِمْ

Questo famoso versetto ci insegna che Allah non cambia la situazione di una comunità, finché questa non cambia nel suo intimo.

Quindi la comunità necessita di musulmani diversi, più forti, capaci di contribuire alla Causa palestinese (e alle cause della Umma) concretamente.

Non a caso la missione della Strong Believer Academy in particolare e del progetto Strong Believer in generale è formare musulmani capaci di lasciare il segno, credenti forti, Strong Believer appunto.

Credenti capaci quindi di contribuire alla Causa palestinese.

Ma cosa significa “forgiare musulmani capaci di contribuire alla Causa palestinese” concretamente?

Significa forgiare musulmani capaci di contribuire alla rinascita della Umma, della comunità musulmana.

Perché la Causa palestinese può essere risolta solo dalla Umma.

Possiamo avere degli alleati per un pezzo di strada, possiamo cooperare per alcuni obiettivi intermedi, ma è importante capire che nessuno andrà fino in fondo con noi, quindi dobbiamo avere la forza di farcela da soli, con l’aiuto di Dio.

Quindi solo la rinascita della Umma porterà alla soluzione definitiva alla questione palestinese.

E come si contribuisce alla rinascita della Umma? Come si potenzia la Umma?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro e guardare alla storia.

Segui il mio ragionamento…

Come hanno fatto gli ebrei a passare dall’essere un popolo perseguitato a un popolo dominante? Com’è rinato il popolo ebraico dalle ceneri?

Semplice: hanno dominato tutti i settori.

Come?

Con eccellenze fedeli alla loro causa.

Facciamo l’esempio dell’Italia…

Nella dirigenza dei media più importanti a livello italiano, troviamo degli ebrei sionisti.

Nella dirigenza dei più importanti gruppi finanziari, troviamo degli ebrei sionisti.

Nella dirigenza dei gruppi editoriali più importanti a livello italiano, troviamo degli ebrei sionisti.

Tra i critici dell’arte più rinomati, troviamo ebrei sionisti.

Tra gli scrittori più famosi, troviamo ebrei sionisti.

Tra i politici più potenti, troviamo ebrei sionisti.

E così via.

Quindi appena ce n’è bisogno, usano la loro posizione e il loro peso nella società per:

  • indirizzare l’opinione pubblica;
  • influenzare le scelte politiche;
  • creare una narrazione dominante;
  • influenzare l’economia
  • ecc…

…al servizio della causa sionista.

E’ una questione di risorse umane di qualità: questo ha permesso agli ebrei sionisti di dominare.

Non si tratta di complottismo. Non si tratta di avercela con il popolo giudaico.

Non parlo delle follie antisemite di estrema destra e di estrema sinistra sulla famiglia Rothschild & simila.

Si tratta di osservare i fatti. I dati oggettivi.

Meno dell’1% della popolazione mondiale è di religione ebraica, eppure un miliardo di dollari su 4 è in mano a ebrei.

Un premio Nobel su 3 è dato a un ebreo. Anche se costituiscono quasi 1/100esimo dell’umanità. E non parlo dei premi Nobel politicizzati, come quello per la pace.

Parlo di premi Nobel per la fisica, per l’economia, per la letteratura, per la psicologia ecc… che sono molto più meritocratici.

Sarebbe da togliersi il cappello, se analizzassimo la questione solo da questo punto di vista e dimenticassimo i crimini che Israele continua a perpetuare, violando numerose convenzioni internazionali.

Ora dirò una cosa che risulterà impopolare tra i musulmani.

Molti nostri correligionari odiano gli ebrei perché sono potenti.

Cioè, la causa del loro odio è data dalla forza degli ebrei.

Lo Strong Believer non odia chi è forte.

Lo Strong Believer odia l’ingiustizia e l’oppressione, ma non la forza.

Lo Strong Believer si focalizza sul capire cosa può apprendere di positivo e potenziante da chi è diventato forte, per applicare e mettere questa forza al servizio del Bene.

Quindi la storia degli ultimi due secoli della comunità ebraica internazionale e i sionisti in particolare sono un caso studio da analizzare a fondo e da cui trarre insegnamenti.

Suona strano, ma è così.

Chiaramente trarre insegnamenti dalla loro esperienza non significa seguirli anche in ciò che hanno sbagliato. E’ ovvio, ma ci tengo a precisarlo.

Ma l’atteggiamento nei confronti della loro esperienza non deve essere di odio scriteriato.

Dobbiamo assumere un atteggiamento basato sulla saggezza.

E tra le mille lezioni che si possono trarre dalla loro esperienza ce n’è una che adombra le altre, ovvero che se vogliamo essere una Umma forte, dobbiamo forgiare componenti della Umma forti. Quindi dei credenti forti.

Morale della favola: mentre sul breve termine è importante fare il massimo che possiamo nel denunciare le ingiustizie che avvengono a discapito del popolo palestinese, sul lungo termine non possiamo limitarci a questo.

Sul lungo termine dobbiamo avere più credenti capaci di lasciare il segno.

Chiaro fin qui? Spero di si.

Facciamo un passo avanti.

Chi è il credente capace di lasciare il segno? Chi è – in ultima analisi – lo Strong Believer?

L’avrai letto in giro per il blog, ma lo ribadisco qui, riassumendo e rimandandoti ad approfondimenti.

Lo Strong Believer è un musulmano con una forte connessione con Dio, una forte mentalità, con le competenze necessarie per eccellere ed emergere e con un progetto di vita in cui canalizzare tutta la sua forza, i suoi sforzi e le sue competenze.

Quindi, per rispondere alla domanda iniziale: cosa deve fare ognuno di noi per la Palestina?

Deve investire i propri sforzi su 4 punti:

  • coltivare il proprio rapporto con Dio, per diventare indomabili e spiritualmente forti [è quello che facciamo con il percorso di workshop spirituali gratuiti dello Strong Believer Project];
  • coltivare la propria mentalità, disinstallando le credenze depotenzianti e installandone di potenzianti [abbiamo dei percorsi specifici della Strong Believer Academy in cui ci occupiamo proprio di questo];
  • coltivare le proprie competenze per essere in grado di lasciare il segno, eccellere ed emergere nel nostro settore [abbiamo dei percorsi specifici della Strong Believer Academy in cui ci occupiamo proprio di questo];
  • canalizzare il tutto in un progetto di vita ambizioso, al servizio dell’umanità e che di riflesso contribuisca alla rinascita della Umma.

Vorrei soffermarmi qualche riga in più sul concetto di PROGETTO DI VITA.
Perché è così importante?

Quando chiedo agli studenti della Strong Believer Academy che prenotano la sessione di coaching gratuita “come ti vedi da qui a 10 anni?”, mi rispondono “voglio avere un lavoro, fare del bene, avere una famiglia felice, qualche bravo figlio ecc…”

Non voglio in questa sede approfondire il concetto della famiglia felice, dei figli ecc…

Voglio invece parlare del FARE DEL BENE.

Ci sono due livelli di “fare del bene”.

Il livello base consiste nel fare tante buone azioni, in maniera scoordinata.

Un sorriso a una persona, una donazione a un povero, aiutare un bisognoso a risolvere un problema, essere generosi con gli ospiti ecc…

E questo è il livello minimo sotto il quale nessun credente – anche quello debole – dovrebbe andare.

Poi c’è un livello avanzato, che è quello tipico degli Strong Believer, ovvero fare del bene canalizzando le proprie energie in un progetto di vita organizzato.

Questo livello permette di lasciare un’impronta più profonda. 

Questo è il livello di chi viene ricordato anche dopo la sua morte per il bene che ha fatto, perché il nome della persona viene associato a un determinato contributo per l’umanità.

E questo è anche il livello di chi continua a ricevere hasanat (ricompense) anche dopo la morte, perché l’emanazione dell’impronta continua anche dopo che la persona torna a Dio.

E’ il famoso concetto islamico che il Profeta Muhammad (s) ci ha insegnato: la sadaqa jaria, ovvero un’opera che continua a fare del bene nel tempo, indipendentemente dagli sforzi di chi ne ha il merito e che quindi fa beneficiare chi l’ha compiuta di un flusso di hasanat continuo.

Esempi di sadaqa jaria:

  • fondare una moschea in cui continuano a pregare centinaia di credenti, indipendentemente dalle tue preghiere;
  • fondare una scuola di qualche tipo che continua nel tempo ad educare le generazioni;
  • scrivere un libro con degli insegnamenti utili all’umanità, che continua ad essere di valore nel tempo…
  • ecc…

Insomma la logica è: creare qualcosa, lasciare un’impronta di qualche tipo, che continua ad essere benefica anche dopo che il credente ha finito di occuparsene (o addirittura di vivere).

Capisci quanto è potente questo concetto?

Questo concetto è direttamente collegato a quello di PROGETTO DI VITA.

Un PROGETTO DI VITA è una mega-buona azione, in cui canalizzi le tue forze per anni in maniera focalizzata, che lascia un’impronta profonda, molto più profonda rispetto a chi passa la vita a fare solo micro-buone azioni scoordinate.

Attenzione: non voglio sminuire le piccole buone azioni quotidiane. Possono portare in janna e salvare dall’inferno.

Tutti noi DOBBIAMO fare le piccole azioni quotidiane. Anzi, a volte vengono considerate anche più pesanti presso Dio, se formuliamo un’intenzione più sincera rispetto a quella che abbiamo per un progetto di vita ambizioso.

Il problema è che non possiamo sentirci “apposto” con le piccole buone azioni quotidiane. Non è sufficiente in questo momento storico per la nostra Umma.

“Fare del bene” in maniera scoordinata, paradossalmente, potrebbe distrarci dal “fare del bene” in maniera strategica, efficace e focalizzata in un progetto di vita che lascia un’impronta profonda.

Chiaramente lo Strong Believer non sceglie tra le tante buone micro-azioni e i progetti di vita.

Si dedica a uno o più progetti di vita considerevoli…e nel quotidiano non si fa sfuggire occasione per fare anche le piccole buone azioni, come un sorriso, una donazione ecc…

Lo ripeto: devi avere uno o più progetti di vita in cui focalizzare le tue migliori energie e in cui esprimere il tuo potenziale.

Tu vali di più rispetto al “lavorare per sopravvivere”.

Ognuno di noi può e deve lasciare il segno, fare la differenza.

Cosa c’entra tutto questo con la questione palestinese?

La questione palestinese è il metro di misura della forza e della salute della nostra Umma.

E oggi la nostra Umma ha urgentemente bisogno di credenti che non si limitino a sorridere e fare piccole donazioni.

Oggi la Umma ha bisogno di credenti che oltre a questo realizzino qualcosa di ambizioso e impattante, per contribuire direttamente o indirettamente alla rinascita della Umma e quindi per contribuire al rafforzamento della comunità e renderla in grado di respingere i torti degli oppressori.

Se un musulmano (maschio o femmina) si pone come obiettivo di vita quello di diventare uno dei giornalisti più importanti d’Italia, questo gioverà alla Causa palestinese.

Se un musulmano si pone come obiettivo di vita quello di diventare un grande giocatore di calcio, avrà maggiore risonanza e impatto e quindi al momento giusto questo gioverà alla Causa palestinese.

Se un musulmano si pone come obiettivo di vita quello di diventare un importante medico con una clinica specializzata su un certo tipo di malattie, avrà un peso nella comunità dei medici e questo gioverà alla Causa palestinese in molti modi (economia, volontariato, mobilitazioni, creazione di progetti specifici, ecc…)

Direttamente, magari fornendo un servizio alla comunità.

Indirettamente, rappresentando con il proprio successo e i propri risultati la Umma e l’Islam in maniera degna.

Perché volenti o nolenti, siamo tutti delle bandiere dell’Islam. E questo è un onore, ma anche una responsabilità.

Capisci perché la nostra Umma ha bisogno di Strong Believer con progetti di vita ambiziosi?

Capisci perché uno dei percorsi di punta della Strong Believer Academy con cui ambiamo a contribuire alla rinascita della Umma è proprio CHIAREZZA MENTALE?

Perché abbiamo bisogno di credenti che lascino un impatto importante, elevino le condizioni della Umma e l’immagine dell’Islam nel mondo.

E tutto parte da singoli credenti, connessi con Dio, con una visione chiara per la loro esistenza, capaci di focalizzare le loro energie in un progetto di vita appassionante e utile all’umanità e alla Umma.

Credenti competenti, connessi con Dio e indomabili.

Quindi, per concludere, cosa possiamo fare per la questione palestinese?

  • sull’immediato sensibilizzare l’ambiente che ci sta attorno;
  • sul lungo termine diventare credenti spiritualmente forti, capaci di lasciare il segno, che focalizzano le loro energie in progetti di vita che influenzano il mondo in cui viviamo in maniera impattante.

Questa è la sintesi della sintesi.

E ti saluto con questa riflessione.

Allah ha scelto di crearci in quest’epoca. Non è un caso o una coincidenza. E’ il volere di Dio.

Quindi la nostra prova è questa Lotta. E verremo valutati anche in base a questo il giorno del giudizio.

Facciamo della nostra vita un capolavoro al servizio di Dio e quindi al servizio del Bene.

Finché in sha’a Allah, quando saremo abbastanza, quando ci saranno abbastanza credenti forti, Strong Believer, la Umma tornerà ad essere nuovamente forte e il popolo palestinese e tutti gli oppressi del mondo avranno finalmente giustizia.

Bisogna essere sicuri di questo.

Allah promette nel Corano, in surat Al-Anbiya’ che…

أن الأرض يرثها عبادي الصالحون

… ovvero  «La terra sarà ereditata dai Miei servi devoti».

Che Allah ci renda tra i suoi servi devoti, capaci di fare la differenza in questo mondo e capaci di renderlo un posto migliore e più giusto.

A presto in sha’a Allah,

Abed Elbakki Rtaib

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